Settembre 2016, in Aspettando te… Relazioni incarcerate, Atti dell’incontro realizzato in occasione del Family Happening, ed. Tipolitografia La Grafica, Vago di Lavagno (VR)
ARTEDUCATIVA PSICOSINTETICA:
VOCE AL SILENZIO DELLA SOLITUDINE
di Mara Chinatti

“Non c’è totalità se si è un albero isolato,
Martin Gray¹
è la foresta che dà un senso all’albero e che lo rende vigoroso.”
L’amministrazione penitenziaria ha da sempre dedicato particolare attenzione e impegno nell’individuare delle forme di disagio dovute alla presenza in carcere di persone con grosse difficoltà a sostenere la detenzione. Il luogo ristretto che vive quotidianamente la persona in carcere, l’allontanamento dalla famiglia, l’incertezza per il proprio futuro in relazione alla vicenda giudiziaria e la conseguente assenza di una progettualità di vita a lunga gittata, possono condurre l’individuo a superare la soglia di adattamento alle difficoltà personali ed ambientali mostrando una particolare vulnerabilità. Dette vulnerabilità possono condurre alcuni soggetti reclusi a porre in essere sia gesti di autolesionismo sia gesti d’aggressività verso terzi.
La Casa Circondariale di Verona Montorio in accordo con l’Area Sanitaria dell’Istituto dopo aver individuato questo tipo di persone propone a loro il laboratorio di Arteducativa psicosintetica. Questa è una prassi che, nel contesto penitenziario, diventa uno strumento d’intervento differenziato e costruito sulle esigenze e sui bisogni individuali del soggetto detenuto. Essa accoglie piccoli gruppi con l’obiettivo di proporre ai partecipanti un confronto sui problemi d’interesse personale in chiave di lettura “gruppale”.
La dimensione del gruppo appare essenziale in quanto un numero di persone limitato consente di contenere agevolmente le ansie connesse a processi di “socializzazione” limitate tipici di soggetti disadattati; l’utilizzo della modalità del piccolo gruppo realizza una tappa intermediaria e funzionale allo sviluppo di una maggiore integrazione e di un più consolidato sentimento di appartenenza, anche in un ambiente penitenziario che per natura impone già enormi sforzi di adattamento. In questo senso l’Arteducativa psicosintetica dà un valore di significato innanzitutto alla persona, e poi anche al “tempo”, e ai concetti di accoglienza, di ascolto e di educazione. Si tratta di una prassi che, in funzione alla salute del ben-essere e di una visione integrata dell’essere umano, va calata sull’individuo, ed ognuno risponde esprimendosi in modo diverso, personale secondo la propria tipologia di base.
Grazie a questo intervento mediante il quale ci si prende cura della persona mentre sostiene in carcere il suo difficile momento esistenziale. Per alcune persone detenute invece, è un accompagnamento finalizzato all’inserimento inteso come adattamento, nel contesto sociale penitenziario. Occorre riconoscere che la scelta verso l’Arteducativa psicosintetica da parte dell’amministrazione penitenziaria è un’apertura alla qualità, piuttosto che alla quantità. Il punto fondamentale è che educare significa “tirar fuori” il meglio, procedendo “da dentro al fuori”.
Nello specifico, il laboratorio si rivolge a questa area di disagio, ossia ad un’utenza di persone detenute appartenenti alla sezione protetti e alla sezione ove vengono ubicati i casi più problematici².
BISOGNO DI RELAZIONE

L’essere umano non è fatto per stare da solo, come allude l’analogia di Gray, citazione riportata all’inizio del capitolo. Infatti è provato dall’esperienza che quando l’essere umano è solo tende a riempire la propria solitudine di surrogati, dalla bottiglia, allo shopping infrenabile, dalle compagnie forzate, alla droga e altro ancora, tutto ciò crea dipendenza e induce a delinquere. Diversa è la solitudine benefica che stimola sia la riflessione nel tentativo di compiere un passo avanti nel percorso evolutivo umano, sia l’espressione dell’identità più autentica umana, denominata anima da alcune persone. Secondo lo psichiatra Vittorino Andreoli “La solitudine è una pace inaccettabile. Una contenzione dei sentimenti per sembrare normali mentre si avverte il desiderio di esplodere, di esistere per qualcuno. E allora si può anche litigare, colpire e colpirsi, pur di non essere soli. Inutile per tutti. Inutile a se stesso…³ Vuol dire non essere percepiti, non avere un senso in mezzo alla gente, sentirsi soli tra tante persone. Si ritrova solo colui a cui nessuno attribuisce un significato, colui che vive ma è inutile”.⁴ Le parole del noto psichiatra veronese, non possono altro che stimolare in noi una riflessione: “Ogni essere umano ricerca un con-tatto amorevole anche quando non lo dimostra, non lo chiede o non ne è consapevole”. L’individuo isolato non esiste: l’Io, che lo voglia o no, è intrecciato in una fitta rete di rapporti interpersonali e sociali; è parte integrante della vita universale, con la quale ha rapporti molto maggiori di quanto generalmente pensa.



Personalmente credo che la maggior parte delle depressioni abbia le sue radici nella solitudine che è generata dalla mancanza d’amore e che non sempre collima con l’assenza delle figure genitoriali, ma piuttosto con la loro inadeguatezza nel trasmetterlo. Si può quindi capire che l’isolamento, come chiusura agli altri dipende, da una profonda fragilità emotiva e dalla paura di essere ferito, non visto, annullato.
La pratica fondamentale dell’umiltà, assieme alla compassione, che è l’opposto dell’invidia insegna l’ascolto e la condivisione. Questi due atteggiamenti sono curativi, perché tutto ciò che è malato nell’uomo nasce dalla mancanza d’amore. Solo quando nell’ascolto ci si commuove, perché si sentono e si vedono altri soffrire, si è compassionevoli. A questo punto mi ricollego al pensiero di Gray, sopra citato, che senza dubbio ci rimanda al valore del gruppo, del socializzare e del bisogno umano non solo di parlare per raccontarsi, ma anche di ascoltare parole amorevoli, di comunicare tra un IO e un TU per diventare un NOI. La comunicazione arricchisce tutte le persone che vi sono coinvolte poiché nell’interagire tra loro si influenzano reciprocamente. Per questo motivo, per analogia, diventa un ponte sul quale “transitano e dialogano, come se fossero dei personaggi”, tutte le sue informazioni.
Come la funzione del ponte è quella di unire due sponde, altrimenti inaccessibili tra loro, così quella della comunicazione è di congiungere le informazioni dei suoi vari interlocutori per realizzare un con-tatto tra il mondo personale interiore e quello esteriore dell’individuo. Accade che tutte le informazioni nell’incontrarsi, si confrontano, si scontrano, si perfezionano o si fondono fra loro, realizzando così in ogni interlocutore differenti pensieri.

Il termine comunicazione nel suo significato originale (latino) vuol dire ‘mettere in comune’, ossia condividere con altre persone informazioni di svariati tipi come pensieri, opinioni, esperienze, sensazioni, emozioni. In altre parole significa rendere comune, rendere gli altri partecipi di una cosa, dare una notizia, confrontare. Ne deriva che la comunicazione, quando è un dividere con altri, diventa patrimonio comune per la costruzione di una discussione, di un sapere, di una cultura e di una relazione (affettiva). Invero troppo spesso si comunica molto e si fa poca relazione nella quale lo scambio tra tutti coloro che vi partecipano diviene unione di sentimento. Infatti è nell’incontro con l’altro che l’essere umano può perdersi come ritrovarsi.

L’ascolto è parte della comunicazione e ne determina la sua qualità. Il mondo personale e quindi anche quello della detenzione, con i suoi problemi spesso distoglie l’attenzione necessaria all’ascolto empatico, il quale sa cogliere anche l’espressione affettiva che l’interlocutore può trasmettere mediante una modalità che non usa le parole e, che per questo è denominata “comunicazione non verbale”. Quando in un dialogo l’attenzione è rivolta solo per udire le parole e i concetti, la comunicazione non verbale che è anche il “contenitore dell’espressione affettiva” non viene inclusa. In questo caso l’ascolto è parziale non essendo rivolto anche alle informazioni emotive comunicate da colui che sta parlando. Così facendo va persa qualsiasi espressione non verbale che il nostro corpo è capace di trasmettere. Eppure i gesti, le espressioni del viso, le modulazioni della voce e delle parole, gli atteggiamenti posturali, ma anche la sequenza del ritmo cardiaco e molto altro; trasmettono con modalità diversa stati d’animo, simpatie e antipatie, chiusure e aperture interiori tutti aspetti importanti che compongono ed esprimono il mondo personale dell’affettività.⁵
Se qualunque atteggiamento assunto da un individuo, diventa immediatamente portatore di significato per sé ma anche per gli altri la domanda da porsi non è ‘se’ una persona stia comunicando, ma ‘cosa’ stia comunicando, anche tramite il silenzio o l’assenza,⁶ di dialogo. Dato che l’insieme dei sentimenti, delle emozioni e degli umori determina gli atteggiamenti comportamentali riguardanti il vissuto dell’interlocutore, la comunicazione non verbale potrebbe essere definita una vera e propria lingua che tutte le persone parlano col proprio corpo ma pochi “ascoltano con gli occhi”.

Un esempio potrà fornire un’indicazione per la comprensione di quanto finora detto. Quando Mario venne per la prima volta al laboratorio, si sedette con noi attorno al tavolo, chiuse gli occhi, chinò il capo e tenne le braccia conserte. Tutti lo guardammo sorpresi della sua chiusura nei nostri confronti. La sua postura ci comunicò che non voleva parlare e noi cogliemmo il suo messaggio rispondendo senza interpellarlo. In seguito Mario ci rivelò che voleva ascoltare e guardare il nostro operato prima di essere parte attiva nel laboratorio. Noi rispettammo le sue richieste da lui non verbalizzate.


L’Arteducativa psicosintetica considera entrambi i tipi di comunicazione accennati poiché non è sufficiente avere buone intenzioni e motivazioni nell’ascoltare colui che parla. Per compiere l’ascolto è bene applicarsi con un atto di volontà in entrambe le comunicazioni. L’ascolto totale è indispensabile per poter accogliere, contenere, rielaborare le informazioni ricevute e al contempo restituirle mediante una modalità in cui l’altro sente di essere stato capito e soprattutto compreso. Solo quando si è sentito totalmente ascoltato, molto lentamente uscirà dal suo stato interiore di isolamento ed inizierà a sentire la necessità di comunicare con altre persone. In questo tipo di relazione è utile se non necessario conoscere il meccanismo di proiezione che impedisce di proiettare contenuti personali a colui che sta comunicando. Il meccanismo di proiezione sfugge all’incontro penoso e duro con noi stessi.
Ma all’interno di una struttura così singolare come lo è il carcere, le persone detenute come vivono, trasmettono e comunicano il proprio mondo affettivo? E in che misura si può comprendere la loro sofferenza per l’impossibilità di dare e ricevere affetto? Il distacco dai propri cari, l’assenza di spazi in cui poter esprimere la propria sessualità, l’impossibilità di manifestare alcuni sentimenti ed emozioni o di poterli raccontare a qualcuno che li sappia accogliere con amorevolezza attiva il bisogno di famiglia che genera una condizione di sofferenza emotiva per l’attesa di un proprio caro, di una sua lettera o del momento della telefonata: tutto questo, insieme agli altri innumerevoli aspetti afflittivi tipici della detenzione, origina ansia e preoccupazione. La persona detenuta si sente inevitabilmente incompleta; una parte di essa ‘vegeta’ e per non morire viene tenuta viva’ dalla sua linfa chiamata sofferenza. Se poi pensiamo a coloro che hanno la famiglia oltre oceano, a quelli che vengono lasciati dal coniuge o allontanati dai figli, oppure a coloro che “fuori” non hanno casa, un posto dove stare, un lavoro, possiamo solo lontanamente immaginare i loro stati d’animo e chiederci come si ripercuoteranno sui loro comportamenti.

Mario, ad un certo punto del suo percorso, per rappresentare il valore che egli dava alla figura materna e alla parola “responsabilità” ha scelto di disegnare una mamma che tiene in braccio il suo bambino. Alla fine del suo operato si è rivolto al gruppo e spiegando il suo disegno ha detto: “Chi meglio di una mamma è responsabile del proprio figlio”? Sono le funzioni genitoriali (affettiva, protettiva, regolativa, empatica) a determinare il rapporto con i propri figli, ad influenzare il loro sviluppo, soprattutto nei primi anni di vita.

L’incompletezza che percepisce la persona in carcere è data proprio dall’impossibilità di vivere il mondo degli affetti che si appoggia sulla legge dello scambio: dare e avere, essere e fare. Quando, per vari motivi, questa legge non è totalmente o in parte applicata, viene annullato questo meccanismo di scambio, che contemporaneamente esprime ed appaga. Succede che più facilmente le persone in carcere porranno in essere comportamenti negativi dovuti alla rabbia e al senso di ingiustizia che pensano di subire. Se la relazione affettiva viene a mancare, i rapporti affettivi vengono sconvolti e inevitabilmente gli stili e le abitudini di vita di tutto il nucleo familiare inclusa, inclusa la persona detenuta, vengono sottoposte profondamente al superamento di una prova psico-fisico-emotiva.
Così la prassi proposta in questo scritto espone un intervento ‘dolce’ per riequilibrare un modo di essere, definito carattere, e lo fa tramite l’educazione emotiva affettiva, favorendone l’espressione. In essa, le emozioni negative non vengono eliminate, assecondate o represse, ma si cerca di equilibrarle al fine di manifestarle in modo proporzionato alla circostanza.

Anziché considerarle dei disturbi, devono essere interpretate come dei segnalatori di messaggi. Quindi l’educazione delle emozioni, in questa prassi, è la chiave che apre la porta dell’apprendimento che le sa contenere e gestire tramutandole in una ‘forma concreta’ che passa da una rappresentazione espressiva, sia essa riflessione, scritto o comunicazione verbale alla manifestazione di un diverso pensiero, stato d’animo, comportamento. Dato che è un’attività che stimola la messa in opera di: atteggiamenti relazionali che evocano il sostegno, la collaborazione, l’accoglienza, l’inclusività, l’unità e l’affettività, coloro che vi partecipano si sentiranno stimolati nel maturare un diverso approccio nei confronti della situazione che stanno vivendo e delle inevitabili restrizioni che queste comporta.
Per molte persone detenute lo spazio di Arteducativa psicosintetica è il luogo ove poter costruire le chiavi per uscire da alcune stanze della propria prigione interiore, per recuperare la ‘memoria’ soprattutto quella legata agli affetti poiché come asserisce Assagioli: “La vita non procede per riempimento di vuoti, ma per conquista di spazi interiori”.
L’Arteducativa psicosintetica affonda le proprie radici nella psicosintesi e, proprio come essa, è uno strumento che agevola il processo di crescita. Considera che ogni essere umano abbia in sé un enorme potenziale che però spesso non usa poiché non lo riconosce. Tuttavia l’essere umano possiede anche una saggezza interiore che gli permette di avere accesso al proprio potenziale. La psicosintesi ritiene che l’essere umano possa raggiungere una consapevolezza personale dei vari e molteplici contenuti del proprio animo, con i quali non identificarsi. Ne deriva la modalità dell’imparare, a piccoli passi, il distacco, l’obbiettività, la non-identificazione.

L’Autocoscienza è la qualità specifica dell’essere umano, è ciò che lo distingue dagli animali, che sono coscienti, ma non autocoscienti. In noi l’autocoscienza è implicita, alterata e offuscata dalle continue identificazioni dell’Io con i contenuti della coscienza. Il lavoro perciò da svolgere, a piccoli passi, è quello di renderla sempre più precisa, chiara, luminosa, è disidentificarci dagli innumerevoli contenuti. Mediante l’uso della volontà buona e saggia si scopre di essere dei soggetti viventi che agiscono, dotati del potere di scegliere, di entrare in rapporto, di causare cambiamenti nella propria personalità. Anziché usare la volontà per competere, aggredire, dividere, isolare sarà impiegata per conoscere e comprendere.

Cambiando la motivazione al proprio agire, si cambia anche la scelta. In altre parole impara a preferire la reazione da esternare verso le persone e delle circostanze. A tal proposito Piero Ferrucci suggerisce “A differenza di pensieri ed emozioni, che possono essere antichi e radicati, la volontà nasce ogni giorno nuova. Usarla ci riconduce al qui ed ora, al centro di noi stessi”. La volontà dirige, regola, equilibra, utilizza le funzioni elencate nella stella Assagioliana inserita nelle pagine precedenti.
L’individuo nel mettersi nella condizione di testimone oggettivo e amorevole del proprio mondo interiore ed esteriore, interviene attivamente ad orchestrare le varie funzioni e l’energie del suo animo molteplice. Questo naturalmente non significa in alcun modo eliminarle o sopprimerle, ma si evita di lasciarsi da esse dominare. Così facendo nella via dello sviluppo e della crescita impara prima a riconoscere e poi ad utilizzare sempre più consapevolmente alcune delle personali qualità, la propria forza e volontà. Ciò si vede nel caso emblematico di Michele che, davanti all’immagine del burrone, da lui disegnata per comunicare la sua situazione di stallo, da cui tuttavia preferisce uscire. Infatti i disegni successivi⁷ mostrano chiaramente il suo stato interiore di apertura, coraggio e continuità; mostrano come Michele sceglie di impiegare la volontà nel produrre pensieri alternativi e quindi soluzioni diverse.





Il processo parziale appena descritto è prodotto dalla forza energetica del legame consequenziale che lavora sulla memoria, dalla capacità di ricordare che sviluppa la funzione immaginativa. Ad esempio, per ritornare a casa si deve ricordare la strada ed immaginare la casa. In questo modo la ricerca diventa la produzione di qualcosa di nuovo e la capacità di abbandonare qualcosa di vecchio, che non serve più. Dal momento che l’azione del trovare ha un aspetto qualitativo stimola la sua funzione pedagogica, maieutica e terapeutica: una forma di auto-aiuto, un prendersi cura nel senso di considerare, coltivare, servire, ri-educare se stessi. Un agire che richiede un pensiero divergente, cioè un pensiero non diretto verso un’unica risposta, ma tendente a scoprire soluzioni insolite a domande apparentemente senza risposta. Così facendo si abbandonano automaticamente gli schemi d’azione comuni dell’esperienza, non più convenienti. La consapevolezza in Michele ha avuto origine da una serie di aperture intime in lui che sottostavano alla consequenzialità espressiva stessa da lui creata.

Come si può vedere dai vari disegni in questo testo riportati, l’Arteducativa psicosintetica riflette l’individuo diventando per lui un “contenitore specchio”. In essa, tutte le rappresentazioni espressive, totalmente o parzialmente diventano degli “Inviati ambasciatori” di messaggeri dell’identità più autentica, anche quando sono finzioni perché contribuiscono alla personale espressione creativa ed evolutiva. La fondamentale connessione logica e consequenziale tra le varie espressioni⁸ indica una continuità narrativa e significativa, d’intento, d’impegno e miglioramento.
Michele situato di fronte ad esse, come un regista costruisce la scena, vede, ri-vede e, senza ricevere alcun suggerimento, modifica la propria “scenografia”, aggiungere e aggiusta il testo della sua storia presente. Egli agisce rispettando la propria cultura, il suo momento esistenziale, i suoi tempi d’azione ed elaborazione. In lui, la bellezza della volontà in azione e il desiderio di migliorare si manifestano nella capacità di smuovere potenzialità e qualità a favore dell’armonia della sua opera nella quale si vede specchiato. Ma la rappresentazione espressiva non solo mostra la sua interiorità, ma anche la sua prossima mossa che, volendo, può copiare impegnandosi per concretizzarla.

In questo senso il “disegno specchio” si trasforma in “corrispondenza personale” che offre un insegnamento. Pertanto si può dedurre che il disegno spontaneo consequenziale accompagnato dalla sua narrazione, scritta e verbale, mentre insegna si rivela propizio per ritornare ad investire in quel potenziale evolutivo che alita e ispira l’essere umano.
Nel tentativo di fare chiarezza egli si descrive compiutamente, denominando l’inconoscibile e conoscendo ciò che s’ignora. Come comunicazione preventiva, evoca e anticipa i passaggi evolutivi attuabili, mostrando e suggerendo informazioni chiarificatrici.




Aiuta nei processi dell’identificazione – disidentificazione – autoidentificazione. Infatti il partecipante al mio laboratorio può arrivare a comprendere che “La vita insegna e aiuta ad evolvere proponendo situazioni attraverso le quali si producono inevitabilmente progressive identificazioni (esperienze), disidentificazioni (distacchi–elaborazioni) e autoidentificazione (autocoscienza–identità).⁹ La prassi proposta annulla la passività e induce a prendersi cura di una o più parti di sé escogitando nuove strategie d’azione. Stimola il principio dell’unità nella diversità e la diversità nell’unità, l’uno nel tutto il tutto nell’uno. Siamo innanzitutto una famiglia umana che si riduce a quella personale senza perderne il contatto e lo scopo di unità e interazione.
L’individuo nel ruolo di protagonista crea le sue rappresentazioni consequenziali, espressioni di mutamenti o identificazioni in nuovi stati d’essere. Nelle sue letture unite alla successiva riflessione scritta, risiede la possibilità di attribuire in modo indipendente un valore di significato al proprio vissuto e di riscoprire una diversa progettualità.
Nella descrizione verbale o scritta il disegnatore prende con-tatto la propria parte aggressiva, non più libera ed istintuale, ma incanalata e diretta verso uno scopo. È la corrispondenza personale che dà linearità e logica al lavoro svolto. In questo modo l’individuo se vuole, lo può rivedere, rivalutare, mantenere o modificare essendo ordinato consequenzialmente e arricchito. Così rappresentazione espressiva, lettura, scritto verbalizzazione ed elaborazione devono procedere uno in funzione all’altro essendo tutti sollecitatori di possibili progressi e di nuove consapevolezze. Questo è uno dei molti segreti dell’Arteducativa psicosintetica.
Nel laboratorio l’energia della frustrazione dovuta alla situazione di solitudine sociale e disadattamento al contesto penitenziario, al bisogno di famiglia, non è scaricata a “caso” in una raffigurazione espressiva fortuita, ma è direzionata in un punto esatto del “disegno specchio” ossia nella “corrispondenza personale”. In questo modo non è neppure scaricata in atti di autolesionismo o in gesti d’aggressività verso terzi poiché come, il padre della psicosintesi Roberto Assagioli (1888-1974), medico, psichiatra e filosofo italiano, ci rammenta “L’uomo diventa quello in cui s’identifica” e “Trasformare i conflitti in tensioni creative” è una delle molte azioni che può svolgere. Inoltre ci ricorda che “Le immagini o le figure mentali o le idee tendono a produrre le condizioni fisiche e gli atti esterni ad esse corrispondenti”.
L’intervento dell’immaginazione in quanto capacità razionale di produrre un’ipotesi sulla realtà o su parte di essa è indispensabile per staccarsi dalla fantasia che, pur essendo una capacità creativa, è irrazionale, spesso inconsapevole e prescinde da ogni realtà, costruendosi sull’irrealtà. In tal senso la fantasia “creando” ha carattere “definitorio”, mentre l’immaginazione avendo solo carattere “previsionale” o “anticipatorio” è sottoposta a verifica.
Il processo della mente umana che usa la capacità di elaborare informazioni viene attivato anche grazie ai due emisferi in cui il sinistro è deputato alla logica razionale e il destro all’analogia, all’immaginazione, alla creatività e all’intuizione. Ma la mente ordinaria, di per sé tende a separare, dividere e quindi a discriminare, ignorando prima ed attuando poi il distanziamento polare. Nel percorso di Arteducativa psicosintetica la separazione fra questi due emisferi si attenua, in tal modo nasce e si sviluppa l’intelligenza del cuore, la visione dell’unità nella molteplicità e viceversa che insieme generano la vera immaginazione creativa che fonde in sé l’attività pratica con la fantasia. Mentre la fantasia esente dalla concretizzazione è fuga dalla realtà.

La ricerca della concretezza inizia con l’immersione nel mondo sublimato della rappresentazione espressiva mediante il quale si appagano anche l’esigenze del cuore, della mente e delle pulsioni corporee. Dai disegni di Ettore si coglie il tono del suo stato emotivo di sofferenza che stava vivendo quando venne al mio corso.

Alla domanda chi sono io Ettore scelse di rispondere: io sono un’ombra. Nel suo proseguo egli si direzionò verso il polo opposto, la luce, che lui stesso aveva evocato tramite il suo disegno, ma che l’identificazione con il suo stato d’animo presente gli impediva di vedere. Sarà l’incontro con la luce a liberarlo dalla sua identificazione come ombra e a motivarlo a proseguire nella ricerca di un significato da dare al suo momento esistenziale di profonda sofferenza e di allontanamento dai propri cari. La concretizzazione è testimoniata dai suoi disegni mediane i quali egli come a teatro fa le prove per il suo debutto.




Come il simbolo allude e sottintende ad aspetti della realtà ben precisi, così il disegno diventa un simbolo caratteristico e riservato all’individuo. Ecco perché prima di soffermarsi sul significato simbolico collettivo o universale è bene chiarire quello personale poiché, in quel momento, ciò che serve all’evoluzione individuale è innanzitutto cercare poi conoscere ed infine esprimere la propria verità. Nel tentativo di riprodurli graficamente, narrarli, scriverli e condividerli oltre che a riconoscerli, li interiorizza facendoli propri. Così nel raccontare ciò che egli è recupera parti di ciò che è stato.


Ecco che il laboratorio di Arteducativa psicosintetica da me proposto, diventa uno strumento favorevole e pratico per esprimere l’affettività, se per affettività s’intendono affetto, amore, bene, tenerezza, amicizia, attaccamento, amorevolezza, simpatia, condivisione e altro ancora. Possiamo quindi dire che il mondo dell’immagine con le sue raffigurazioni e narrazioni verbali o scritte consequenziali, essendo partecipazione, è una delle vie in cui l’emozioni e gli affetti trovano un’espressione vitale. In altre parole diventa “tutore dell’affettività”.
Il laboratorio di Arteducativa psicosintetica diventa importante perché permette alle persone detenute di disidentificarsi dal ruolo di detenuto e dalla convinzione che non ci sia possibilità di cambiamento. Partendo dalla domanda “chi sono io” la persona piano piano con i propri tempi, volge lo sguardo verso se stesso e guardandosi interiormente inizia a prendere atto di essere realmente una molteplicità di aspetti, di qualità, di talenti. Inoltre riconosce che, pur essendo recluso, possiede diversi ruoli tra cui anche quello della genitorialità e che nessuno gli può togliere. Da qui, se vuole, inizia a valutare cosa è effettivamente importane per lui e ciò che invece non lo è. Inizia a prendere coscienza che dipende esclusivamente da lui quale atteggiamento interiore assumere di fronte alla sua situazione attuale, al suo bisogno di famiglia ed il suo sentirsi padre “mancato”.



L’elemento “magico” che fa da ponte tra me e loro è “l’arte nella rappresentazione espressiva, spontanea, consequenziale e la sua narrazione” come si è visto nel percorso di Ettore. Questa attività è una prassi e non una schematizzazione. È un’arte e può essere concepita come un contenitore riflettente perché oltre a descrivere se stessi i tratti della propria personalità favorisce varie istanze come il seme della fiducia, della speranza, della pazienza, dell’apertura e della volontà di comprendere e cambiare. Egli sa che non è solo, ma è guidato da una persona esperta che lo sa comprendere e sostenere, traducendosi, a sua insaputa, in una ‘affettività’, che diviene per lui un momentaneo punto di riferimento. Mediante la relazione empatica che si instaura tra me e loro, il percorso cambia in meglio poiché l’individuo è libero di scegliere come attuarlo e applicarlo rispettando se stesso, le sue volontà interiori, i suoi desideri, le sue elaborazioni, i tempi e i metodi d’azione poiché chiunque può scegliere fra molte strade espressive. Imporre non aiuta a cambiare. La scelta di agire liberamente, che in realtà è un preferire, spetta esclusivamente al disegnatore. In questo modo, se lo desidera, inizia ad intraprendere un percorso di responsabilità interiore prima verso se stesso, poi verso i propri cari ed infine, se lo desidera, anche verso gli sconosciuti. A favorire il contatto con la dimensione interiore emotiva ed affettiva, ad aiutare l’individuo ad ampliare la consapevolezza di sé sarà la consequenzialità delle varie espressioni.
In conclusione l’Arteducativa psicosintetica non può essere un metodo terapeutico, anche se cura le persone, poiché loro si educano rifacendosi alla vita come ricerca. Dato che il suo strumento di ricerca è la vita essa è anche filosofica; si basa sulla presa di coscienza che i pensieri, gli atteggiamenti mentali, lo stile di vita e ciò che circonda l’individuo influenzano considerevolmente il suo ben-essere, cioè il suo stato bio-psico-spirituale. Ogni rappresentazione espressiva spontanea ha, nella sua forma, una traccia particolare che ne dà il profondo significato consequenziale e può suscitare uno svolgersi infinito di idee, di impressioni, di esperienze interiori, che variano per ciascun individuo secondo le proprie particolari attitudini. “Io sono” è la frase chiave che aiuta l’individuo a riconoscersi capace di una molteplicità espressiva. Riprendere in mano parti del proprio animo molteplice significa riappropriarsi di quegli aspetti che si sono persi di vista, ma che in qualche modo possono ancora nutrire.
Le parole di Umberto, testimone di percorso esplicano bene ciò che voglio dire. “In un momento di solitudine di sofferenza, di chiusura in sé stessi quale può essere la domanda che si pone un uomo, probabilmente che fare. La nostra risposta è stata conoscersi un momento, aprirsi, uscire e così tra i molti percorsi che ci sono stati proposti dalla struttura abbiamo sentito la spinta di partecipare anche ad Arteducativa psicosintetica. ARTEDUCATIVA dove la “E” che completa la parola Arte si fonde con la “E” che inizia la parola Educativa. Due parole che in realtà sono una la forma di espressione e l’altra la consapevolezza di noi stessi. Le due “E” fuse in una relazione che rende possibile l’esprimere molteplicità che abbiamo nascoste, latenti, non viste e rende possibile quindi un cammino verso la consapevolezza di un uomo nuovo. Io sono io, ma anche io con l’ANCHE.¹⁰ E così che è iniziato il nostro cammino verso la consapevolezza dell’umano, dei nostri animi molteplici”.¹¹

Note
- Gray, al secolo Mietek Grajewski (Varsavia, 27 aprile 1922 – Ciney, 25 aprile 2016), In nome dei miei, Rizzoli, Milano 1972
- In parte tratto dal Protocollo n. 6384/ Area Giuridico Pedagogica, 2016
- V. Andreoli, Tra un’ora la follia, Rizzoli, Milano. Tratto da: Link
- Cit. di V. Andreoli
- In psicologia, con il termine affettività ‒ che deriva dal latino affectus, a sua volta da afficere “impressionare, influenzare” ‒ si intende l’insieme dei fenomeni affettivi (sentimenti, emozioni, passioni ecc.) che caratterizzano le reazioni psichiche di un individuo. L’affettività è alla base della comunicazione umana e il suo sviluppo è una discriminante essenziale del benessere oppure del disadattamento psicologico… Tratto da: Link
- Tratto da Link, In teoria: I cinque assiomi della comunicazione
- M. Chinatti, Camminando insieme liberi di pensare, liberi di cambiare, Percorsi di Arteducativa psicosintetica, Stimmgraf, Verona 2013, p. 146.
- Si rimanda il lettore al percorso parziale di Michele, inserito nelle pagini precedenti.
- Tratto dallo scritto di L. Ramorino, Incontro-scontro tra Sé e Personalità.
- In questo contesto, la parola anche, ci ricorda che l’animo umano è molteplice e che non è saggio identificarsi solo con alcuni suoi aspetti: pensieri, stati d’animo, abitudini, ruoli ecc.
- Tutti i disegni fanno parte di percorsi consequenziali conseguiti da persone detenute. I nomi delle persone citate nello scritto sono fittizi per motivi di privacy. Si ringraziano tutte le persone che hanno concesso di inserire in questo scritto il loro materiale prezioso.