L’intelligenza ri-formatrice apre la prigione della mente e del cuore

Counselling psicosintetico finalità

“La parte più intima ed essenziale dell’uomo è la coscienza.
Alla trasformazione della coscienza corrisponde la trasformazione di tutta la personalità.”

Roberto Assagioli

Liberare la mente e il cuore non è cosa facile da farsi in un ambiente come quello del carcere, soprattutto quando le persone recluse in cella da un po’ di anni, vivono addossate le une alle altre.

Inoltre a coloro che non dispongono di denaro viene negata la possibilità di ricevere i generi di prima necessità come i prodotti per l’igiene ed il vestiario. Questo servizio dovrebbe essere eseguito dalla direzione del carcere (lo stato) ma per mancanza di soldi, viene fornito dalle associazioni di volontariato. Con questa realtà “inspiegabile” come possono essere finanziati dei progetti per attuare quella parte dell’articolo 27 della Costituzione Italiana che dice:

… Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato…

“La piccola tenda d’azzurro che i prigionieri chiamano cielo”

è uno straordinario diario, pubblicato da Ares edizioni, che vede il protagonista, camminare sul sentiero delle prove affrontandole con coraggio, con determinazione, e con difficoltà. L’autore è Arrigo Cavallina, uno dei protagonisti degli anni di piombo e frequentatore dei Pac, i Proletari armati per il comunismo.

Fu tra i primi a sperimentare il carcere duro e ad essere tra gli ideatori del movimento della dissociazione

Sarà solo dopo molti anni di reclusione carceraria, una quindicina, colmi di molte vicissitudini, di sofferenza, di riflessioni e di consapevolezze che Arrigo si vedrà protagonista non solo di una libertà fisica che lo porterà a riabbracciare la sua famiglia ma anche di quella libertà interiore che avrà saputo conquistarsi nel tempo e con molta fatica. Sembra che l’autore del libro nel lungo periodo di reclusione abbia interiorizzato il motto del padre della psicosintesi Roberto Assagioli:

Conosci – possiedi – trasforma te stesso tanto da darne testimonianza concreta.

Non c’è come la consapevolezza della conoscenza dell’intelligenza ri-formatrice che apre le porte della prigione della mente e del cuore, che accelera l’integrità della persona, e che allevia le ferite. L’intelligenza non dell’intelletto, che dipende dall’informazione, dal giudizio o dal buon senso personale ma l’intelligenza che ha le sue radici nelle leggi eterne. Quell’Intelligenza che rappresenta lo spirito divino immanente che stabilisce e sostiene le leggi della natura.

È l’intelligenza creativa, non tanto quella dell’arte, ma quella che trae origine dai nostri principi solidi interiori e che ama condividere con gli altri.

Arrigo acquisisce la consapevolezza esaminando la conoscenza teorica e, per vedere se funziona, la applica creativamente nel suo quotidiano la cui pratica sarà la vera prova della sua realtà. È con questo tipo di atteggiamento che Arrigo affronta la vita in galera, un modo di essere che tende alla sintesi e all’integrazione di alcuni aspetti della sua personalità e che tocca livelli diversi dell’esistenza come quello corporeo praticando lo yoga, quello intellettuale laureandosi, quello esistenziale-spirituale ponendosi delle domande sulla fede, sul senso della sua attuale condizione e sul come poter agire per cambiarla. Arrigo è uno di quelli che è vissuto ai tanti anni di pena senza farsi piegare o subire l’insensatezza della pena, dando al tempo un significato per lui e per altri detenuti.

È la ricerca di un senso della vita, di uno scopo diverso che lo aiuterà a spostarsi dal livello basso della manifestazione personale e collettiva ad un livello più alto della manifestazione divina (in Psicosintesi la manifestazione del Sé) al quale egli stesso ambisce.

Per usare un’antica metafora, l’illuminazione consiste nel fare risorgere il Sole dalle tenebre. Pertanto Arrigo s’impegna per redimere quella parte di sé stesso che non riguarda solo la propria salvezza personale, ma contribuisce all’evoluzione del Tutto. È necessario che l’essere umano ne diventi cosciente. Fare questo equivale a far sorgere il sole della verità nei propri cuori. Allora potremmo rispondere alla domanda che egli pone a pagina diciotto: “Quando verrà il giorno in cui invece di rivendicare un attentato rivendicheremo un modo diverso di aver educato un bambino?” Ma per ottenere una risposta penso che prima sia necessario conoscere quali energie in noi dobbiamo padroneggiare per calmare la mente.

In carcere non è scontato che tutte le persone riflettano su quello che hanno fatto ma, Arrigo è uno di quelli che lo fa e, lo fa con costanza.

Pensa, medita, promuove, progetta ed attua un percorso che lo porterà nel tempo a raggiungere la propria autonomia anche dai ricordi del passato. Un percorso che condivide con altre persone che come lui hanno in qualche modo “deviato” dal sentiero principale e che essendo stati scoperti sono stati condannati e reclusi in carcere. Un procedere che non è fatto solo di pazienza, di concentrazione ma è anche ricco di atti di volontà e di aperture verso un nuovo modo di guardare le cose. Dalla volontà come pensiero intenzionale si passa all’atto di volontà che spinge a possedere, nel senso di saper padroneggiare, alcuni aspetti della personalità anche se, per farlo, dovrà “Morire per rinascere” e riuscire a “domare la rabbia per cavalcarla”.

“La crescita dell’individuo sociale sta nella sua quotidiana conquista di libertà, di autodeterminazione, di sottrazione ai condizionamenti…” si legge a pagina trenta.

Queste parole sembrano nascere dal cuore. Poiché le parole possono disperdere l’energia necessaria per l’azione Arrigo le concretizza compiendo una revisione dell’immagine di se stesso. Questa volta lo fa con una volontà buona e saggia. In carcere la sua “lotta” la trasforma in azione per l’integrazione della sua moralità e della sua personalità altruistica. Ora la sua esperienza di “esserci” come regista ed attore responsabile è direzionata verso una “lotta” positiva personale nella quale le “armi”, ossia gli strumenti dell’azione, sono quelle della condivisione, del dialogo, del cambiamento e di un agire nel segno della non violenza. Spinto dalla fede e dalla voglia di cambiare sposta il proprio sguardo dall’orizzonte delle idee politiche a quello del suo mondo interiore, disciplinandosi anche mediante la pratica dello yoga e della meditazione. Da questo tipo di movimento riceverà maggior conoscenza e comprensione scoprendo, come scrive a pagina novantaquattro:

Il mio nemico sono stato io

Invece di lasciarsi sopraffare o condurre dalla rabbia, dal rancore o dal vittimismo per ciò che ingiustamente subisce in carcere impara sapientemente a gestirli arrivando anche a scrivere il testo: La piccola tenda d’azzurro che i prigionieri chiamano cielo.

Lo scritto è una storia vera, autentica vissuta per due decenni alla ricerca della propria identità, che ha visto Arrigo affrontare, prova dopo prova, il nuovo percorso suggeritogli dall’anima.

Egli descrive un percorso difficile, psicosintetico, iniziatico, spirituale e di fede ma al contempo liberatorio: infatti Arrigo arriverà a rendersi conto che egli è più di quanto credeva di essere scoprendo che sotto alla sua identità apparente c’è un’identità più ricca e più fertile. In questo modo amplia la propria coscienza e lascia libere di esprimersi qualità, modi di essere e potenzialità.

Nel libro mette a nudo alcune verità della realtà del carcere.

Da un carcere ad un altro persevera nell’intento di approdare ad una libertà non solo interiore ma anche aperta al perdono alla collaborazione attiva, prima vissuta all’interno del carcere e poi nel volontariato, dove è tutt’ora attivo con l’associazione La Fraternità.

Arrigo parlando dell’incredibile violenza subita la propone come messaggio diseducativo che di certo non facilità colui che vuole arrivare ad esercitare, per citare il titolo di un altro suo libro, le virtù come quelle della “Misericordia e giustizia”.

Come l’artista continua a modellare la sua opera d’arte così Arrigo continua a modellare se stesso e lo fa, dal mio punto di vista, anche raccontando nel suo libro il progressivo movimento mediante il quale ha continuato ad allenarsi per ricercarsi, ri-inventarsi e ri-crearsi usando diverse strategie di pensiero e di azione. Nello scrivere questo libro Arrigo come Uomo Nuovo ha dovuto ri-vedersi rievocando così la propria esperienza profonda e molto sofferta. Ha scelto di rimanere in essa per poterla integrare più a fondo nonostante la nostra società, equivocando il termine educazione, spinga l’individuo a cercare espedienti per rimuoverla, rifiutarla e per negarla.

È un libro autobiografico schietto e duro ma al contempo poetico e delicato, probabilmente com’è l’individuo quando depone la sua “armatura” e sentendosi più leggero riesce a raccontare anche le piccole ma “grandi gioie” che un ambiente, come quello della galera, può offrire solo a chi sa guardare oltre la Piccola tenda d’azzurro che i prigionieri chiamano cielo.

Il sentimento di bellezza si “sprigiona” dalle dure pagine di sofferenza quando il protagonista racconta con entusiasmo le attività che realizza in carcere per raggiungere un obiettivo comune volto al benessere della persona. I percorsi di musica e di teatro, la creazione di un giornale carcerario intitolato “Ora d’Aria” sono solo alcuni esempi. Un’impresa “speciale” – “particolare” data la situazione nella quale si trova. È la chiamata del Sé, che Arrigo umilmente sa ascoltare e che poi cerca fermamente di realizzare quel pensiero che tutti i credo religiosi suggeriscono: “sia fatta, non la mia ma la Tua Volontà”.

Dall’“io” passa al “tu” per creare un “noi”, un’unione non basata su egoismi ma sul bisogno fondamentale della crescita interiore dove lo sguardo non è rivolto solo al passato ma anche per progettare un futuro che può essere vissuto dopo che, nel presente, si sono costruite delle solide basi. Un’osservazione che è rivolta alla totalità dell’essere umano, alle sue qualità che egli può agire ed esprimere nel presente al di là del tipo di esperienza che ha precedentemente fatto.

Un libro profondo che ci sollecita a guardare “dentro di noi” ma anche a guardare “dal di dentro di noi”.

È anche un libro pieno di speranza, di riscatto, di trasformazione e di rigenerazione, perché racconta il progressivo ri-fiorire alla vita di una persona che avrebbe potuto, come tante, lasciarsi andare alla deriva all’interno della realtà del carcere. Invece di abbruttirsi, di essere schiacciato da una pena insensata che agevola l’inerzia e che mantiene le persone demotivate, arrabbiate, vendicative, recidive, delinquenti convinti senza prospettive egli dimostra come, con un “allenamento” quotidiano, si può cambiare. Un allenamento che non è fatto solo di azioni ma è innanzi tutto un atteggiamento interiore che spinge, l’essere umano, verso l’atto di volontà coerente.

C’è bisogno di lavorare per ricostruire una speranza fatta non di parole-promesse ma di possibilità concrete.

Invece di punire i colpevoli bisognerebbe preoccuparsi di rafforzare quella parte del loro essere che essendo “mutabile”, è al contempo fragile. Non si può negare l’aiuto ad un individuo perché ha sbagliato. Arrigo assumendosi totalmente la responsabilità del proprio agire si definisce un dissociato non “un pentito a pagamento” come Kalica in un articolo chiama coloro che per non scontare totalmente la pena “aprono bocca”… I pentiti, secondo Kalica: “più che servitori della giustizia diventano dei carnefici dei propri compagni con un unico motivo quello di salvarsi dalla galera”.

Per concludere c’è bisogno di usare l’intelligenza ri-formatrice che non desidera una carcerazione senza sbocchi che produca ulteriore violenza fisica, emotiva e psichica, Libertà in prigione* “la sofferenza dell’anima”, ma un’Intelligenza che considera l’essere umano nel suo essere una molteplicità di aspetti diversi come suggeriva Assagioli: “L’Unità nella diversità, la diversità nell’Unità” e che in quanto tale è via di sviluppo.

La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via l’accenno di un sentiero.

Hermann Hesse

1) Arrigo Cavallina, Misericordia e giustizia – Letture sul perdono nei due Testamenti, Ed.Il segno dei Gabrielli, (VR)

2) Citazione tratta dall’articolo letto su internet HYPERLINK “http://www.ristretti.it/” www.ristretti.it/areastudio/cultura/recensioni/tenda.html, pag 2 di 4

Libertà in prigione

Capii che ero libero di assumere uno fra molti atteggiamenti nei confronti di questa situazione, che potevo darle il valore che volevo io, e che stava a me decidere in che modo utilizzarla.

Potevo ribellarmi internamente e imprecare; oppure potevo rassegnarmi passivamente e vegetare; potevo lasciarmi andare a un atteggiamento malsano di autocompatimento e assumere il ruolo di martire; potevo affrontare la situazione con un atteggiamento sportivo e con senso dell’umorismo, considerandola un’esperienza interessante

Potevo trasformare questo periodo in una fase di riposo, in un occasione per riflettere tanto sulla mia situazione personale, considerando la vita vissuta fino ad allora, quanto su problemi scientifici e filosofici; oppure potevo approfittare della situazione per fare un allenamento psicologico di qualche genere; infine potevo farne un ritiro spirituale.

Ebbi la percezione chiara che l’atteggiamento che avrei preso era interamente una decisione mia: che toccava a me scegliere uno o molti tra questi atteggiamenti e attività; che questa scelta avrebbe avuto determinati effetti, che potevo prevedere e dei quali ero pienamente responsabile.

Non avevo dubbi su questa libertà essenziale e su questa facoltà e sui privilegi e le responsabilità che ne derivano.