Il sogno

Io bambina ferita ho un sogno

Ritornare a vivere insieme ai miei genitori

Passaggi d’apertura fondamentali nel percorso verso la realizzazione del sogno

  1. Vissuto personale distacco precoce dalla famiglia d’origine.
  2. Sogno ritornare dai miei genitori. Il sogno si appoggia su un desiderio personale, quello di riabbracciare mamma e papà per ricevere il loro affetto, e sul bisogno d’essere riconosciuta ed accettata come figlia.
  3. Negazione della realizzazione del sogno nel momento in cui seppi della morte, già avvenuta, dei miei genitori. Una falsa credenza, ossia quella di pensare all’impossibilità di poter uscire un giorno dal collegio, prese il posto del sogno.
  4. Ulteriore sogno desiderio di libertà dalla sofferenza fisica. Uscire dal collegio significava sia tossire sia esperire meno la sensazione di soffocamento. Trovare altri spazi e confini non solo materiali.
  5. Negazione della realizzazione dell’ulteriore sogno poiché nessuno oltre al collegio mi poteva accogliere, per me significava rimanerci per sempre e visto che ero sola non avrei potuto contare su alcun individuo.

Il sogno di riabbracciare i miei genitori, cullato per molto tempo, fu infranto nel momento in cui ebbi la conferma che i miei educatori mi raccontavano solo e molte bugie rispetto alla realtà dei fatti.

Esso svanì nel ricevere la notizia della morte dei miei cari, avvenuta in passato e addirittura in tempi diversi. 

La credenza di essere stata abbandonata non desiderata ha dato origine ad un Nodo Emotivo o per utilizzare altre parole una Ferita Primaria dalla quale è emersa anche questa relazione.

Pur essendo piccola, la presa di coscienza di non essere stata realmente ascoltata ha attivato in me ulteriore sofferenza. Gli stati d’animo come la rabbia, il rancore, e vari comportamenti disfattisti tendenti all’isolamento e alla chiusura emotiva, facevano da padroni nel mio quotidiano.

Le relazioni e le attività che svolgevo, in parte erano avvolte dalla nebbia e dall’illusione che le mie emozioni e le mie fantasie continuassero a compensare il bisogno d’affetto da me tanto desiderato ma non appagato. Un bisogno che richiedeva di essere soddisfatto, ma che la sua negazione inconsapevolmente attivava in me un’ulteriore necessità molto più antica ossia quella di essere accettata; un bisogno fondamentale per lo sviluppo biopsichico del bambino.

Poiché per dissipare l’annebbiamento esso doveva essere dapprima riconosciuto e portato a consapevolezza cosciente, nel tempo capii che quella nebbia emozionale sarebbe sparita una volta accettato il bisogno sottostante al desiderio cullato per molto tempo.

L’esigenza sopra descritta nel bambino è una delle necessità principali poiché è legata al mondo della sua sopravvivenza e della sua maturazione psichica. Nel percorso di crescita del fanciullo, l’appagamento del suddetto bisogno è importante per attuare un passaggio evolutivo: da uno stato di dipendenza dalle figure genitoriali (o sostitutive) passa a quello indipendente; è solo nell’essere autonomo che l’individuo può raggiungere la propria identità e autorealizzazione.

Io essere umano ho un sogno

Trasformare l’emozione della rabbia in sentimento dell’Amore

Passaggi d’apertura fondamentali nel percorso verso la realizzazione del sogno

  1. Ulteriore sogno desiderio di libertà dalla sofferenza emotiva. Il mio disagio esistenziale affondava le sue radici nel sentirmi sola, diversa e abbandonata.
  2. Negazione della realizzazione del sogno poiché non sapevo a chi chiedere aiuto non vedevo nessuno che era disposto ad ascoltarmi.
  3. Ricerca di aiuto la mia attenzione prende in considerazione anche il mondo esterno a me.
  4. Accettare il mio vissuto per poterlo accogliere così da trasformare i contenuti disarmonici dei ricordi di essere un’orfana e dell’“esperienza collegiale”.
  5. Affrontare le paure per camminare al loro fianco tramite un processo d’identificazione – disidentificazione dai contenuti del nodo emotivo intrinseco a quell’esperienza, quella ferita primaria che in altre parole si chiama paura dell’abbandono. Tutto il percorso di rielaborazione si svolse tramite il processo della sintesi “Conosci – Possiedi – Trasforma” me stessa

Spostarsi da un mondo d’isolamento, di sofferenza, d’incomprensione, d’assenza di risposta verso quello collettivo, socievole e comunicativo, non è stato semplice, ma un sogno che io ho realizzato.

Questo lavoro spiega la prassi e le varie tappe che ho percorso per concretare detto sogno, anche se, per compierlo, ho investito molti anni in studio e in ricerca. Esso si è manifestato, come conseguenza dei molti tentativi, nella corretta relazione.

Da uno stato di chiusura “IO”, scopro il “TU” ovvero l’“altro” realizzando insieme il “NOI” facilitando così il raggiungimento di un’ambita libertà d’espressione.

Nello spostare lo “sguardo” dal mio mondo interno a quello esterno, imparai prima ad accettare la sofferenza, poi a volgere l’attenzione verso gli altri ed infine a coesistere e a collaborare con loro. 
Il principio “conosci, possiedi e trasforma te stesso” trasmesso da R. Assagioli e la “sua” Psicosintesi, sono stati gli strumenti principali di riferimento tramite i quali ho potuto integrare la mia personalità e raggiungere in concreto il sogno.

La ricerca di libertà fisica ed emotiva, nel tempo mi portò a comprendere che la libertà che cercavo non era data dalla sofferenza in senso lato, bensì dall’esperienza primaria il cui ricordo, quando emergeva in me consapevole o meno, era causa generatrice di ulteriore dolore.

Un ricordo ricco di sensazioni, di pensieri, d’immagini, di desideri, di emozioni di contenuti psichici e di atteggiamenti che mi tenevano legata al passato e come conseguenza m’impediva di crescere e di esprimere me stessa.

Ma come poter dimenticare un’esperienza così forte?

La strada doveva essere un’altra. Proprio perché non rinnegai il mio passato, potei accettarlo come parte di me. Imparando piano piano a disidentificarmi dai suoi contenuti arrivai ad attuare un sano distacco e a slegarmi da loro senza più avvertire in me vergogna, imbarazzo o sentirmi nella condizione di “poverina” rispetto a quell’esperienza.

Tramite la libertà conquistata, l’energia che prima usavo in modo distruttivo, frenante o deviante iniziò ad influire meno negativamente sugli eventi del mio quotidiano. Anzi la stessa energia si trasformava in forza assumendo le qualità del coraggio, della determinazione e di altre ancora che fanno tutte capo alla volontà cosciente, espressione dinamica della mia nuova identità. Se tempo addietro, alla domanda: chi sei? Potevo rispondere io sono un’orfana, io sono una collegiale, ora posso rispondere io sono io, io sono Mara, io sono un essere umano, sono un centro di pura coscienza.

Ad un certo punto del percorso mi sono accorta che la mia azione era stimolata dalla rivalsa.

Solo in seguito, quando iniziai a spostarmi dalle motivazioni puramente personali verso anche quelle altruistiche, mi accorsi che non provavo solo la paura, quella paura che fino allora mi frenava o addirittura mi bloccava, ma che in me subentrava anche uno stato di serenità e di gioia ed era su queste emozioni che dovevo porgere la mia attenzione per intraprendere le nuove esperienze.

Compresi che la parola disidentificazione è sinonimo di libertà, significa diventare liberi dal ricordo e dai suoi contenuti poiché è nell’identificarci in loro che risvegliamo l’antica sofferenza e la ri-viviamo nel presente.

Azione ben diversa dal manifestare, tramite “un oggetto o una situazione concreta”, gli stati d’animo che derivano dal ricordo emerso, anche se tale gesto può sollevarci momentaneamente dallo stato di malessere che né deriva. Nel primo caso sussiste un percorso di maturazione che oltre ad essere fisiologico è soprattutto emotivo, psichico e dell’anima, mentre considero il secondo un temporaneo utile sfogo che apporta tranquillità e senso di leggerezza.

Un giorno mentre parlavo, la chiarezza di ciò che via via interiormente provavo, mi suggerì la conquistata capacità di mettere in atto la libertà sopraindicata.

In quella circostanza mi accorsi che il contenuto di ciò che dicevo divenne l’input, risvegliando in me uno stato d’animo di sofferenza collegato al discorso che riferivo ma anche ad un mio vissuto passato. Essendo la situazione che comunicavo simile a quella trascorsa, ebbi la certezza che l’emozione in me presente in quel momento apparteneva, oltre all’esperienza corrente, anche al ricordo.

In altre parole, la relazione con l’altro fu possibile poiché riuscii a spostare la mia attenzione dal contenuto (rabbia) dell’inconscio inferiore verso quello dell’inconscio superiore ( donare). Essendo al “centro” li potevo vedere ed esperire entrambi contemporaneamente attivandosi così in me una forte tensione. Inoltre, cosciente delle persone che mi ascoltavano, feci una scelta quella, di trasmettere un messaggio obiettivo ed educativo al posto di uno impostato sulla compensazione e sulla rivalsa.

Nello spostare l’attenzione da un’emozione ad un pensiero, vissi un momento quasi impercettibile, per me molto difficile da descrivere a parole.

Se dovessi descriverlo come una situazione, potrei direi che assomiglia a quella dell’“indecisione”, della “stasi”, del “buio”, del “vuoto”, “dell’assenza di contenuti”, mentre se dovessi usare un colore inizierei con l’uso del“ nero” .

Tintinnai nel restare “in piedi”, ma in quella situazione l’Amore di andare verso l’altro individuo, vinse, ed io potei così investire la sua Forza nell’atto di Volontà e portare a conclusione ciò che avevo iniziato. Un senso di leggerezza e di gioia mi avvolse, capii che ora ero libera, che potevo, volendo, attuare anche in futuro la disidentificazione.

Per concludere, l’Atto di Volontà non solo studiato, pensato, immaginato, parlato, idealizzato, percepito o desiderato ma agito, fu e lo è tuttora lo strumento principale funzionale alla manifestazione dell’Amore verso me stessa, verso quella parte di me, la bambina ferita, che tacitamente “urlava” il proprio dolore e proprio perché non “ascoltato” risuona tuttora in me Mara, risvegliando la rabbia e il bisogno allora non appagato ogni volta che nel mio quotidiano incontro un bimbo ferito. 

Nel tempo in me subentrò un altro sogno, quello di aiutare coloro che soffrono ma, per realizzarlo, prima dovevo “aprire” me stessa. Dovevo pulirmi dalle scorie che alimentavano negativamente il ricordo di un’esperienza passata per lasciare emergere quelle qualità e potenzialità che, una volta raffinate, sarebbero diventate i miei nuovi strumenti di luce e di potere.

In conclusione, per mostrare in chiave psicosintetica il percorso della realizzazione del mio sogno, ho riportato in sette immagini alcuni passaggi fondamentali, utilizzando il diagramma dell’uovo di Assagioli che, come ben sapete, rappresenta l’essere umano.